lunedì 27 ottobre 2008

Giorno 22

Huaypan, 21 agosto 2007

Che sensazione strana. Dopo 20 giorni in cui, per un motivo o per l'altro, le nostre giornate sono state contraddistinte da fatica e stanchezza, oggi riassaporiamo il gusto dolce del riposo.
In primo luogo, non c'è stata nessuna sveglia al mattino; ciascuno si è alzato quando ha ritenuto di essere sufficientemente riposato. Secondariamente, è stata una giornata senza "obiettivi" da raggiungere. L'unica cosa da fare era il proprio zaino, dal momento che la sera si sarebbe partiti per Lima; e, chiaramente, ognuno era libero di gestirsi il tempo come meglio credeva.
Ecco quindi che la giornata è scivolata via tranquilla, all'insegna di quello che da noi si chiama "cazzeggio", e che qui invece si riappropria del più nobile significato di "riposo": con tutta calma prepariamo lo zaino, laviamo gli ultimi vestiti che vogliamo lasciare in condizioni dignitose a Isabella, chiacchieriamo, giochiamo, ridiamo, ci scambiamo considerazioni su questa nostra esperienza.
E poi arriva la sera.
Così come era stato al nostro arrivo, così com'era stato solo un paio di giorni fa con i bimbi della casa, arriva un altro momento toccante: i saluti con le bimbe del "taller" di Isa, con le quali abbiamo mangiato, giocato e riso tutte le volte che siamo stati ospiti a Huaypan.
Dopo la cena, per salutarci, intonano svariati canti di festa e di saluto; infine, regalano a ognuno di noi un astuccio fatto da loro.
Piangono, al momento di salutarci. Anche per loro siamo stati qualcosa di bello, di importante. Non so cosa, ma se hanno pianto significa che erano dispiaciute che le lasciassimo; e se erano dispiaciute significa che per loro eravamo stati qualcosa di positivo.
E anche loro lo sono state, come tutte le persone che abbiamo incontrato in questi 20 giorni. Le immagini di Alibeth, Kelly, di tutti i bambini ci scorrono davanti nel corso dell'eterno viaggio in pulman che ci riportava a Lima.

domenica 26 ottobre 2008

Giorno 21

Huaypan, 20 agosto 2007

Oggi è la giornata della discesa dal rifugio. Dopo una notte in cui pochi sono riusciti a dormire a causa dell'altitudine, è ora di tornare alla missione di Huaypan.
Partiamo alle 10.30, e la nostra guida ci dice che "correndo, in un paio d'ore si arriva. Altrimenti ce ne si mette 3-4".
Non avendo nulla da fare, in teoria non sarebbe dovuto importare a nessuno quanto tempo fosse necessario per arrivare a destinazione; a me sì però, perchè volevo chiamare casa, e dunque sarebbe stato importante arrivare alla Missione non più tardi delle 15 (le 22 in Italia). Per questo motivo, ho tenuto spesso sotto controllo l'orologio; e, sempre per questo motivo, ho di nuovo potuto "apprezzare" quanto da questa parte del mondo la concezione del tempo sia così distorta rispetto a quella che abbiamo noi: proprio perchè avevo in testa l'intenzione di chiamare casa, mi trovavo spesso a chiedere alla guida quanto mancasse. Ad un certo punto, con mio sollievo, mi ha risposto che "mancherà mezz'ora, esagerando un'oretta scarsa". Beh, inutile dire che il tempo necessario per arrivare a Huaypan è stato almeno il doppio, e non perchè nel tragitto ci fosse capitato qualcosa; sì, ci siamo fermati un attimo per riposare, e qualche volta per fare un paio di foto, ma non sono certo stati questi minuti a far raddoppiare il nostro tempo di percorrenza.
E' che qui il tempo non è un'ansia, un'angoscia, un'oppressione, come da noi; qui ci si mette il tempo necessario per fare ogni cosa, senza l'assillo del farlo presto, o di corsa. Ecco quindi che anche la percezione della mezz'oretta o oretta scarsa non è, nella mentalità di qui, sbagliata: non avendo il pensiero di arrivare in fretta, e non avendo altro da fare che passeggiare a contatto con la natura e immerso in paesaggi da togliere il fiato, è assolutamente possibile che la nostra guida quantificasse in un tempo misero il tempo necessario per percorrere la distanza.
Arriviamo a Huaypan, e la "nostra" Isa ci fa trovare un bel pranzo (sono le 15!): pasta, secondo e contorno, addirittura un pezzo di dolce! Che cara, e quanto apprezziamo queste premure! Che, forse, nell'abitudine del nostro mondo, forse non apprezzeremmo come qui.
Passiamo il pomeriggio a riposare, siamo stanchi dalla due giorni di cammino; ceniamo con Padre Burbis, che ci racconta qualcosa sulle "esperienze" come quella che abbiamo vissuto, facciamo un paio di mani a belote, e andiamo a dormire: domani è l'ultimo giorno qui a Huaypan.

mercoledì 22 ottobre 2008

Giorno 20

Rifugio dell'Huascaran, 19 agosto 2007

Dopo la messa del mattino a Mushno, ci incamminiamo sul sentiero che ci condurrà al rifugio dell'Huascaran, a 4700 metri di altezza.
Sarà che, in un certo senso, una metafora troppo inflazionata come quella montagna/vita è quello che sto vivendo in questi giorni, però durante la salita ho pensato molto a questo paragone: una salita faticosissima, durante la quale c'è la necessità di qualche sosta defaticante e di rilassamento; momenti nei quali vuoi mollare, credi che non ci riuscirai, che non riuscirai ad arrivare alla meta, che c'è da fare troppa fatica e che tu non sei in grado di sopportarla.
E, invece, per finire, alla cima ci arrivi, e vieni ripagato di tutti gli sforzi fatti durante la salita..

Per quanto riguarda la metafora con la vita.. Beh, l'unica cosa che forse non quadra è che non è vero che nella vita sempre, per forza, si arriva alla meta; e non è neanche detto che, nella vita, ci sia solo una meta da raggiungere; non è detto, inoltre, che le mete che ci prefissiamo siano tali che, per raggiungerle, siano sufficienti i nostri sforzi, ed è questo il mio caso, al quale anche oggi non riesco a non pensare.


Ecco, diciamo che io ero convinto di avere già raggiunto la meta, e invece mi ritrovo in una sosta, ad un punto morto, che non so se si supererà, anche perchè non dipende da me, o non solo, o comunque non so da cosa dipenda.
So, però, solamente, che arrivare alla meta, in questo caso, ripagherebbe tutti gli sforzi, i momenti tristi e le difficoltà incontrate lungo il sentiero. E' un desiderio che speravo di poter esprimere, appoggiato al muretto del rifugio, alla ricerca di una stella cadente, sotto la maestosità dei 6600 metri dell'Huascaran, in uno sfondo da cartone animato vecchio stile Walt Disney.

martedì 21 ottobre 2008

Giorno 19

Huaypan, 18 agosto 2007

Ultimo giorno di lavoro significa anche, però, ultimo giorno con i bambini, che in queste settimane ci hanno riempiti di gioia, e, quindi, di saluti.
In pratica, tutto il lavoro l'abbiamo fatto al mattino; tranne un paio di noi, rimasti alla casa dove lavoriamo, tutti gli altri (e Beppe) siamo andati nel boschetto a tagliare la legna.
C'è da dire che questo boschetto non è il massimo della comodità per prendere la legna, anzi: gli alberi si trovano in uno dei due lati, ripidi, intramezzati da un ruscello; e, ovviamente, il lato dove c'è la legna che ci serve non è quello che dà sulla strada, bensì l'altro.
Questo fatto comporta che, dopo aver tagliato la legna, dobbiamo ribaltare i tronchi da un lato all'altro del boschetto, e solo allora, con l'ausilio di corde, tirare sulla strada il tutto. Con un po' di stupore, riusciamo a trasportare sul ciglio della strada tutta la legna che ci serve prima del pranzo, in maniera tale che nel pomeriggio non ci sia altro da fare se non trasportare, col carro, tutta la legna tagliata, dal boschetto alla casa.
Arriva il pomeriggio, portiamo a termine l'ultima parte del lavoro che ci spetta e, dopo, inizia la triste fase dei saluti, e tutto il "contorno" che li precede: prima, con tutto il gruppo, ci facciamo scattare foto seduti sul (quasi) tetto della casa che, con fatica, abbiamo costruito; poi, regalo una scatola di pennarelli e 7 magliette (una per ciascun bimbo) ai bambini, consegnandole ad Alibeth, la sorella maggiore.
Infine, i saluti. E qui, la maturità di Alibeth mi ha colpito nuovamente: mentre tutti i suoi fratellini e sorellini più piccole, ma anche sua madre, la nonna ed il nonno ci ringraziavano, ma ci chiedevano anche se saremmo tornati "manana", o "Lunes", lei è stata l'unica che aveva capito che non ci avrebbe più rivisto.
Durante gli ultimi giochi, e le foto con i bambini, se ne è stata triste, in disparte; durante i saluti si è allontanata verso il carro di Beppe, come a non volere accettare il fatto di doverci salutare.
E, infatti, non ha salutato, nel vero senso della parola, praticamente nessuno, me compreso. Salvo, mentre camminavo con Simone sulla via di Huaypan, sentirmi chiamare dalla cima di una collinetta "Alessandro! Alessandro!" e, dopo essermi voltato, vedere Alibeth che mi salutava, "Ciao Alessandro!". Un'emozione decisamente forte che mi porterò dentro. Perchè noi, i "gringos", oltre alla casa, per 2 settimane abbiamo come dato gioia e distrazione a questi bambini, facendoli venire a contatto con un qualcosa che non si aspettavano e che per loro era fonte, appunto, di distrazione e gioia.
Come per noi potrebbe essere vivere una giornata con i giocatori della nostra squadra del cuore, noi eravamo i loro eroi: "Don Simon", "Alessandro Hipkins", "Michel dos babayago", "Pablo loco" ecc. Ma quello che mi rende, egoisticamente, triste, è che non siamo stati solo noi a portare qualcosa a loro; mi mancherà molto quello che loro davano a noi: la semplicità di essere felici, il valore dei sorrisi, volendo anche una compassione costruttiva che ti fa incazzare mostrandoti come il mondo non è giusto, ma che ti spinge a voler fare qualcosa per cambiare le cose. Questo è quello che mi porto dentro della giornata di oggi, che si conclude con un gusto dolceamaro: se, infatti, dal punto di vista fisico sono distrutto, e non mi spiace troppo che oggi sia stato l'ultimo giorno di lavoro, dal punto di vista emotivo mi spiace non potere più passare del tempo accanto a questi bambini meravigliosi, da cui ho, abbiamo, ricevuto (e, credo, dato) gioia.