sabato 30 agosto 2008

Giorno 6

Huaypan, 5 agosto 2007

Abbiamo affrontato l'ultimo viaggio e siamo arrivati a destinazione, verso sera, dopo 8 ore e più di pulman. Al nostro arrivo riceviamo un'accoglienza da commozione: la missione dove siamo ospitati svolge la funzione di "collegio" femminile, dove studiano e vivono 55 ragazze, dai 13 ai 19 anni; queste, al nostro arrivo, si dispongono nel cortile interno della casa. Ci guardano, come fossimo una speranza, certamente come una novità; e dopo qualche minuto inziano a intonare canti e cori (spesso accompagnati da danze) "por los amigos italianos".
Partecipiamo, commossi e un po' imbarazzati, alla festa che hanno preparato per noi: ricambiamo i canti con applausi e sorrisi, cerchiamo di mostrare un apprezzamento sincero, che sicuramente non sappiamo esternare al massimo di quanto proviamo dentro. Dopo questo nostro arrivo, ci sistemiamo nella camerata a noi riservata, e scendiamo per consumare la cena, alla mensa. Entrano prima le 55 ragazze, in fila indiana, poi tocca a noi. Prendiamo posto, e di nuovo ci sentiamo colpiti da sguardi curiosi che ci tengono d'occhio, ci scrutano, ci analizzano. Ci eravamo preparati a mangiare zuppette, così ci era stato detto prima della partenza. Sarà stata la festa in nostro "onore", ma abbiamo mangiato tantissimo: pasta al sugo, carne con riso, patate e insalata, caffè.
Pareva una cena come tante, e invece non era ancora conclusa. Qualche ragazza, credo tra le più "anziane", inizia ad accantonare tavoli, panche e sedie da un lato del refettorio, per creare un po' di spazio. Ecco quindi che a questo punto entrano, sempre in fila indiana, 12 ragazze, con 12 composizioni floreali, una per ognuno di noi (ah già, partendo a raccontare dalla cena ho dimenticato di dire che ci siamo separati da un compagno di avventura, il buon Silvio. Essendo dottore si è fermato nell'ospedale di un'altra cittadina), come ulteriore omaggio e segno di benvenuto.
Dopodichè altri canti, altri cori, altre danze, nelle quali siamo stati coinvolti anche noi. Terminato il loro "spettacolo", ci chiedono di intonare qualche canto italiano. Come rifiutare? Un po' imbarazzati (in pochi sapevamo i testi delle canzoni) intoniamo "Io vagabondo", "Il pescatore", "Azzurro".
Il risultato, in effetti, non è stato eccezionale, tanto che ci è stato assegnato un compito per i prossimi giorni: preparare un canto e un balletto.
Concludiamo la serata: una fetta di torta, la nostra presentazione, una preghiera. Ora sì che, con il cuore carico di emozioni, possiamo andare a dormire.
P.S. (che non ho annotato sul blocchetto, ma giusto per spiegare meglio): in Perù sono poche le città che hanno la fortuna di avere un ospedale; la maggior parte dei villaggi, infatti, ha delle semplici "poste sanitarie" (se non ricordo male si dovrebbero chiamare proprio così). Che ci dovessimo salutare con Silvio fin quasi da subito per lasciarlo lavorare in un ospedale lo sapevamo quindi già dall'inizio, questo non è stato un imprevisto!!

venerdì 29 agosto 2008

Giorno 5

Lima (!!!!!!!), 4 agosto 2007

Durante questa giornata abbiamo avuto modo di riposarci (la "sveglia" è stata a mezzogiorno), chiamare casa per tranquillizzare genitori apprensivi sul fatto che la nostra Odissea è quasi volta al termine, e fare un giro per Lima, seppur molto rapido.
Oggi, mentre dedico questi pochi minuti a scrivere quei quattro pensieri che mi vengono in mente, lo spunto di questa giornata viene dalla predica di Don Nicola, durante la messa celebrata alle 19 nella cappella della missione. Benchè io non abbia un "rapporto ben definito" con la religione e non sia praticante, riconosco che molte riflessioni e molte cose giuste vengono dette nelle prediche o, quantomeno, spingono a farsi molte domande. E la predica di questa sera era finalizzata ad evidenziare l'inutilità dei beni materiali. O, meglio, rivalutare l'importanza maggiore che rivestono altre cose come l'amicizia, lo stare bene in gruppo, il condividere esperienze con altre persone (l'ovvio esempio è stata quella di Caracas)..
Proprio oggi ho avuto modo di sperimentare questa "lezione" in due momenti in particolare; il primo, un "21" con un seguito di partita a calcetto, giocata con un pallone sgonfio nel cortile interno di una missione, con 5 compagni di avventura; la seconda, il viaggio di ritorno dal centro di Lima alla nostra missione, fatto stipati sul retro di un camioncino. Che bello! Un viaggio molto particolare, nasi all'insù e risate, tante risate.


Quella semplicità e quel senso del gruppo, della condivisione di esperienze di cui si era parlato nella predica.
Tutto il contorno di questa giornata a Lima è rappresentato dallo splendido clima di serenità e accoglienza che si respira nelle missioni per cui siamo passati. In questo mondo caratterizzato dalla ricerca del profitto personale ad ogni costo, dal dominio del denaro e dal "potere" che dal possesso di questo deriva, è bello vedere che c'è gente che invece mette la propria vita al servizio di altri e che è felice in questa maniera.

giovedì 28 agosto 2008

Giorno 4

Caracas, 3 agosto 2007

Ci svegliamo alle 5.35, più o meno. Avevamo deciso di addormentarci nella cappella dell'aeroporto, la "Capilla de la Virgen de Loreto". Il problema era che alle 5.35 del mattino l'aeroporto inizia a popolarsi, e se qualcuno avesse voglia di andare a pregare (d'altronde, chi non va a pregare in aeroporto alle 5.35 del mattino??) non sarebbe carino che trovasse 13 persone accampate una accanto all'altra. Una rapida sciacquata e poi ci rechiamo a fare colazione.


A stomaco pieno e con in corpo un po' di caffè caldo a riscaldarci (anche nella cappella non mancava l'aria condizionata...) ricomincia la ricerca di informazioni: "pare" che oggi sia la volta buona; ovviamente non si sa quando, come, e per merito di chi. Dico "per merito" perchè noi diamo per scontato che se sopraggiunge un problema, questo deve essere risolto; qui sembra non essere così. A me pare che qui, quando si ha un problema, si debba cercare di rendere partecipe della propria situazione qualcuno che conosca bene i meccanismi del posto, e che se ne prenda a cuore. E solo così, secondo me, potremo partire da qui.
Sono quasi le 19, dalle 6 di questa mattina sono dunque passate 13 ore, che in un aeroporto sono decisamente lunghe: oltre a fare un paio di spuntini, due chiacchiere, giocare a carte, ho quindi avuto tempo per riflettere su alcune situazioni "locali". Per prima cosa, come ho accennato prima, una diversa concezione del lavoro: non voglio dire giusta o sbagliata, certamente comunque molto molto lontana dalla nostra. Qui pare stupido esigere immediatamente informazioni, o pretendere di essere serviti (nei negozi, al bar, al ristorante) in tempi rapidi; qui la parola d'ordine è "aspettare", ed è la normalità. Al lavoro non ci si deve stancare; non deve essere una fonte di stress come da noi. Basti pensare che è normale vedere dai sei agli otto camerieri in un bar dove da noi, esagerando molto, se ne potrebbero vedere al massimo tre.
Altre due osservazioni mi sono poi venute in mente durante il tour di Caracas: la prima riguarda, come in tutti i paesi in via di sviluppo, l'enorme disparità sociale. Ho visto case, parchi, macchine stupendi, signori e signore vestiti di tutto punto; e, di contro, vere e propre bidonvilles, con gente vestita di stracci.

La seconda, ma non meno importante, anzi, riguarda il processo di "occidentalizzazione", che a mio modo di vedere è qui molto evidente, e certamente non positivo. La guida, durante la visita della città, ci ha detto che questa è giovane, 250 anni. Beh, si vede che Caracas è una città senza cultura, proprio come si vede che non è pronta ad assorbire quanto da noi si è costruito in millenni di storia. Non è un discorso di presunzione, il mio, e lo voglio chiarire partendo alla lontana, dicendo che è il petrolio la rovina del Venezuela. Non esistesse questa preziosissima risorsa naturale, probabilmente nessuno si curerebbe di questo Stato, che potrebbe così portare avanti una sua cultura, e potrebbe camminare lungo una propria strada, assumendo una identità caratteristica. Ma tutto questo non è possibile a causa dei giacimenti petroliferi presenti sul territorio: questi attraggono le potenze dell'Occidente, che irrompono con prepotenza nel Paese imponendo uno stile di vita "nostro", senza rispettare e lasciare libero (l'esatto contrario della famosa e tanto decantata libertà che si dice di voler promuovere) di svilupparsi autonomamente il popolo locale. Questo accade in maniera molto semplice: l'invasore occidentale lascia una minima fetta di torta (per non dire le briciole), che per la popolazione vuole dire già moltissimo, e trattiene tutto il resto. Non mi ricordo i dati precisi ma, se non sbaglio, avevo letto che solo il 2% dei proventi del petrolio venezuelano ricadono sulla popolazione locale, a fronte di un 98% che va a gonfiare ancora di più le tasche di chi ne avrebbe meno bisogno. Ovviamente questo 2% di una seppure ingente quantità di risorse come il petrolio, non può garantire una distribuzione del reddito equa: da qui la grande disparità sociale, da qui tutta la violenza per cui è, tristemente, famosa Caracas.

Fasi concitate in aeroporto: finalmente chiamano il nostro volo! Tre, forse quattro ore di volo, ma cosa importa: finalmente siamo a Lima!
Due taxi ci trasportano alla missione, che si presenta subito pulita ed accogliente. Una bella doccia e, finalmente, si dorme. E' l'alba.
E' vero, la cosa bella di questi giorni è stata che nel gruppo, nonostante la disavventura e i continui scoraggiamenti, dovuti a speranze di voli puntualmente inesistenti, il morale del gruppo è restato comunque molto buono.. ma meno male che siamo arrivati, chissà quanto avremmo retto!!

mercoledì 27 agosto 2008

Giorno 3

Caracas, 2 agosto 2007

Al nostro risveglio, immediatamente il primo pensiero va alla ricerca di novità riguardo al nostro volo. "Pare che", "Potrebbe darsi che", sono le espressioni che accompagnano ogni indicazione sul nostro destino.
Ovviamente decidiamo di andare a fare colazione; mentre riempiamo le nostre bocche in un dehors di un bar di Caracas (e non era il peggiore; quello, probabilmente, l'abbiamo visto dalla finestra della nostra camera ieri notte quando siamo arrivati) vicino al nostro albergo, riepiloghiamo la situazione, raccogliamo le idee, e decidiamo il da farsi. Decidiamo innanzitutto di avvisare casa da un internet point; in seguito, di ritrovarci in albergo, nella speranza di buone notizie.


Giunti in albergo, Don Nicola espone le varie alternative che ci si prospettano: stare chiusi in albergo fino a sera (o comunque fino a che non sopraggiungono novità), riposarci ancora fino alle 14 - 14.30 e fare un giro per Caracas, andare subito in aeroporto e vedere come evolve la situazione.
Optiamo per la seconda. Ritrovatici nella hall, scopriamo che l'Aeropostal (la compagnia aerea "grazie" alla quale ci troviamo bloccati in Venezuela) si è adoperata affinchè potessimo fare un tour della città in pulman, e accompagnati da una guida; inoltre, finito il tour, avremmo anche avuto la possibilità di essere accompagnati in un ristorante per consumare una buona cena (non avevamo fatto pranzo e questo ci sollevava molto). Uso il condizionale in quanto, durante il "tour", ci giunge una telefonata che ci suggerisce di dirigerci in aeroporto.. All'1 c'è un volo per Lima! Si parte!Torniamo in fretta e furia all'albergo, raccogliamo le nostre cose e, stanchi per lo stress e per il pensiero di una cena saltata, ma felici di poter finalmente giungere a destinazione, ci dirigiamo verso l'aeroporto.
Un'altra lunga attesa per imbarcare i bagagli ci ricorda la famosa disorganizzazione vigente in questo luogo, ma tant'è: poche ore e saremo via, quindi si può sopportare il tutto.
Una volta imbarcate le valigie ci viene vivamente consigliato di non disperderci per cercare un panino, ma di restare pronti in attesa del controllo personale precedente l'imbarco. Un'ora. Due. Tre. La fame aumenta, la stanchezza anche, il nervosismo e il timore di brutte notizie pure; in genere si usa dire "niente nuove, buone nuove", ma qui non è così: verso mezzanotte, infatti, la doccia fredda: non si parte.
All'inizio ci viene detto che Lima non acconsentiva l'atterraggio di un aereo "extra", poi che il problema era da ricondursi al fatto che l'equipaggio aveva già sostenuto troppe ore di volo; ma la motivazione non importa, la sostanza è che ci attende una notte da passare in aeroporto. Quando si potrà partire? La risposta è sempre la stessa: "Puede ser manana".

martedì 26 agosto 2008

Giorno 2

Aeroporto Caracas, 1 agosto 2007

Tutto è andato bene, finora. Il volo Torino - Francoforte è passato in un batter d'occhio; e la traversata oceanica (la prima della mia vita) è stata decisamente confortevole: hostess che passavano continuamente a chiedere se qualcuno desiderasse qualcosa da bere o da mangiare, le cuffiette dateci prima ancora del decollo a ricordarci che, nel caso lo desiderassimo, potevamo guardare un po' di televisione, o ascoltare un po' di musica. L'unica nota negativa di questa traversata ha riguardato il mio spazio fisico: credo infatti che, in tutto l'aereo, solo il signore (credo russo ma non ne sono sicuro, e comunque non avrebbe importanza) davanti a me abbia deciso di inclinare il sedile per concedersi un po' di confort in più.
Ad ogni modo, verso le 14.30 ora locale, l'aereo atterra, ed entriamo in aeroporto. La prima cosa che colpisce dell'aeroporto di Caracas è l'uso spropositato (e, personalmente, ritengo improprio) di aria condizionata. Non ho la più pallida idea di che temperatura potesse esserci all'interno dell'aeroporto, ma so per certo che, soprattutto in prossimità dei bocchettoni d'aria, pareva di essere in inverno.
Otto ore: è il tempo che abbiamo per decidere cosa fare prima di imbarcarci sul volo, sull'ultimo volo di questo lungo viaggio di andata. Radunati i compagni di viaggio (siamo in 13), decidiamo di fare subito il check - in, in modo che poi ognuno possa gestirsi il tempo come meglio crede.
Ecco quindi che, dopo l'utilizzo dell'aria condizionata, ci tocca confrontarci con quella che si verificherà essere la seconda, e probabilmente peggiore, caratteristica di questo aeroporto: la disorganizzazione. Iniziamo una prima, lunga coda; ci ripetiamo che tanto otto ore sono lunghe da far passare in un aeroporto, e che quindi non è poi la fine del mondo aspettare un po'.
Passato finalmente il check - in, ci rechiamo nella sala d'attesa internazionale dell'aeroporto; classico "tour" preliminare per renderci conto della situazione (negozi, bar, ristoranti), dopodiché occupiamo una ventina di posti a sedere. Meglio tenersi larghi..
Da qui "rompiamo le righe": chi decide di riposarsi, chi di andare subito a mangiare o bere qualcosa, chi di dare un'occhiata ai negozi, chi (come me e altri 3) di fare una partita a belote, giusto per non perdere le buone abitudini.
L'attesa è decisamente lunga, e resa perlopiù abbastanza difficoltosa dalle rigide temperature imposte dall'aria condizionata. Ma sono ormai le 21, fra poco ci sarà l'imbarco, si sopporta.. Sul tabellone luminoso delle partenze viene annunciato il ritardo del nostro volo, ancora niente rispetto a cosa ci capiterà di lì a poco: quando la situazione, al punto informazioni, infatti, comincia a farsi critica, ecco comparire un omino che si scusava per il disagio, e che ci informava che l'aereo sarebbe stato soppresso per un guasto meccanico. A questo punto, sempre con la fastidiosissima aria condizionata di contorno, la disorganizzazione dell'aeroporto torna in primo piano: coda per fare un anomalo check - in d'uscita (un check - out, dunque), coda per compilare un foglio necessario per ottenere il visto sul passaporto; coda, quindi, poi, per ottenerlo questo benedetto visto. Niente coda, infine, per riprenderci i bagagli, che abbiamo già trovati ammassati sul pavimento dell'aeroporto.
Inizia un'ulteriore, snervante attesa di informazioni, di indicazioni, che tardano ad arrivare; pare che ci trasporteranno in albergo, per passare la notte. In effetti arriva in aeroporto una signora, che immediatamente comincia a fare una sorta di appello: giustamente donne e bambini hanno la precedenza, e sono i primi a lasciare l'aeroporto.
Noi 13, allora, ci buttiamo letteralmente per terra, improvvisiamo i nostri bagagli come cuscini, e tentiamo di riposarci un minimo.
Non so quanto tempo fosse passato, comunque non credo molto, che ci ridestiamo: finalmente c'è un pulmino (e quindi un albergo) anche per noi.
L'aeroporto di Caracas dista un 30 - 40 minuti dalla città, e avrei voluto (benché fosse notte) cercare di dare, per quanto possibile, un'occhiata al paesaggio, ma ero troppo stanco. Ho combattuto durante i primi 5 minuti di viaggio tra il desiderio e la curiosità di guardarmi attorno, e la mia stanchezza; ma, quest'ultima, ha decisamente preso il sopravvento.
Arriviamo in albergo, ultima coda: riconoscimento documenti e presa in consegna della camera. Alle 3 - 3.15, finalmente, si dorme.

lunedì 25 agosto 2008

Giorno 1

Aosta, 31 luglio 2007

E' tutto pronto. Ancora poche ora e si parte. Salutati tutti gli amici, bevuto l'ultimo digestivo e fatte le ultime risate prima di intraprendere questa avventura.
Ora, seduto sulla scrivania nel bel mezzo di una notte in cui non sarà possibile prendere sonno, i pensieri riguardano il completamento dei preparativi: ho preso tutto? Ho dimenticato qualcosa? I documenti? Direi di sì, 16 -17 kg di zaino dovrebbero contenere tutto ciò di cui avrò bisogno per affrontare questa esperienza.
Mi guardo intorno ed ecco allora che sopraggiungono altri pensieri: un foglio appeso come promemoria sulla cassa dello stereo mi ricorda che al mio ritorno dovrò preparare un esame per l'Università; una busta verde nell'angolo della scrivania, che dovrò fare un po' di coda alle poste per pagare una multa..
E, soprattutto, in testa, il pensiero è tutto per una questione lasciata in sospeso, nel mistero di parole non dette e di ogni sorta di supposizioni, speranze, timori.
Ma, questi, sono problemi di qui. Domani a quest'ora sarò in Perù, a Lima, e tutti questi pensieri non dovranno più esserci.
Ora metto il tappo alla penna e chiudo gli occhi: tento ancora un'oretta di sonno; dopodichè, il suono della sveglia e l'odore di una tazza di caffè mi ricorderanno che è ora di mettersi in viaggio.

domenica 24 agosto 2008

Dove eravamo

Domani si incomincia il racconto.. per ora la cartina dei luoghi attraverso cui siamo passati..

Premessa al blog

Ho deciso, a un anno di distanza, di scrivere ciò che durante i giorni passati in Perù avevo annotato su un blocchetto. Mi è capitato sotto gli occhi di nuovo durante questi giorni e l'ho riletto; in certi passi, è vero, quello che ho scritto tocca anche aspetti miei personali di quel periodo dell'estate dell'anno scorso. Ho deciso comunque di non eliminare nulla nella trascrizione dal blocchetto al blog, e di riportare pari pari quanto avevo scritto, benchè certamente delle mie cose personali non debba interessare nulla, e debbano peraltro ritenersi decisamente marginali al resto, che rappresenta l'essenza della decisione di condividere l'esperienza mia e dei miei 12 "compagni di avventura" con chi vorrà dare, appunto come dice il nome del blog, uno sguardo diverso e prendere coscienza di realtà tanto lontane dalla nostra.
Preciso che il blog nasce esclusivamente con lo scopo di raccontare quei giorni vissuti in Perù e che, pertanto, una volta concluso il racconto di questi giorni non sarà utilizzato per niente altro e non sarà più aggiornato.
Preciso, inoltre, che tutto quanto racconterò saranno pensieri strettamente personali. Certo i miei compagni di avventura, potranno (e anzi sono invitati) oltre che commentare (cosa che potrete fare tutti), anche ampliare, correggere o raccontare qualcosa che a me non aveva colpito particolarmente o che ho tralasciato.
Detto questo.. Benvenuti a tutti e buona lettura!