Abbiamo affrontato l'ultimo viaggio e siamo arrivati a destinazione, verso sera, dopo 8 ore e più di pulman. Al nostro arrivo riceviamo un'accoglienza da commozione: la missione dove siamo ospitati svolge la funzione di "collegio" femminile, dove studiano e vivono 55 ragazze, dai 13 ai 19 anni; queste, al nostro arrivo, si dispongono nel cortile interno della casa. Ci guardano, come fossimo una speranza, certamente come una novità; e dopo qualche minuto inziano a intonare canti e cori (spesso accompagnati da danze) "por los amigos italianos".
Pareva una cena come tante, e invece non era ancora conclusa. Qualche ragazza, credo tra le più "anziane", inizia
ad accantonare tavoli, panche e sedie da un lato del refettorio, per creare un po' di spazio. Ecco quindi che a questo punto entrano, sempre in fila indiana, 12 ragazze, con 12 composizioni floreali, una per ognuno di noi (ah già, partendo a raccontare dalla cena ho dimenticato di dire che ci siamo separati da un compagno di avventura, il buon Silvio. Essendo dottore si è fermato nell'ospedale di un'altra cittadina), come ulteriore omaggio e segno di benvenuto.
Dopodichè altri canti, altri cori, altre danze, nelle quali siamo stati coinvolti anche noi. Terminato il loro "spettacolo", ci c
hiedono di intonare qualche canto italiano. Come rifiutare? Un po' imbarazzati (in pochi sapevamo i testi delle canzoni) intoniamo "Io vagabondo", "Il pescatore", "Azzurro".
Il risultato, in effetti, non è stato eccezionale, tanto che ci è stato assegnato un compito per i prossimi giorni: preparare un canto e un balletto.
Concludiamo la serata: una fetta di torta, la nostra presentazione, una preghiera. Ora sì che, con il cuore carico di emozioni, possiamo andare a dormire.
Concludiamo la serata: una fetta di torta, la nostra presentazione, una preghiera. Ora sì che, con il cuore carico di emozioni, possiamo andare a dormire.
P.S. (che non ho annotato sul blocchetto, ma giusto per spiegare meglio): in Perù sono poche le città che hanno la fortuna di avere un ospedale; la maggior parte dei villaggi, infatti, ha delle semplici "poste sanitarie" (se non ricordo male si dovrebbero chiamare proprio così). Che ci dovessimo salutare con Silvio fin quasi da subito per lasciarlo lavorare in un ospedale lo sapevamo quindi già dall'inizio, questo non è stato un imprevisto!!




Due taxi ci trasportano alla missione, che si presenta subito pulita ed accogliente. Una bella doccia e, finalmente, si dorme. E' l'alba.
Giunti in albergo, Don Nicola espone le varie alternative che ci si prospettano: stare chiusi in albergo fino a sera (o comunque fino a che non sopraggiungono novità), riposarci ancora fino alle 14 - 14.30 e fare un giro per Caracas, andare subito in aeroporto e vedere come evolve la situazione.
Ad ogni modo, verso le 14.30 ora locale, l'aereo atterra, ed entriamo in aeroporto. La prima cosa che colpisce dell'aeroporto di Caracas è l'uso spropositato (e, personalmente, ritengo improprio) di aria condizionata. Non ho la più pallida idea di che temperatura potesse esserci all'interno dell'aeroporto, ma so per certo che, soprattutto in prossimità dei bocchettoni d'aria, pareva di essere in inverno.
Passato finalmente il check - in, ci rechiamo nella sala d'attesa internazionale dell'aeroporto; classico "tour" preliminare per renderci conto della situazione (negozi, bar, ristoranti), dopodiché occupiamo una ventina di posti a sedere. Meglio tenersi larghi..
L'attesa è decisamente lunga, e resa perlopiù abbastanza difficoltosa dalle rigide temperature imposte dall'aria condizionata. Ma sono ormai le 21, fra poco ci sarà l'imbarco, si sopporta..
Sul tabellone luminoso delle partenze viene annunciato il ritardo del nostro volo, ancora niente rispetto a cosa ci capiterà di lì a poco: quando la situazione, al punto informazioni, infatti, comincia a farsi critica, ecco comparire un omino che si scusava per il disagio, e che ci informava che l'aereo sarebbe stato soppresso per un guasto meccanico. A questo punto, sempre con la fastidiosissima aria condizionata di contorno, la disorganizzazione dell'aeroporto torna in primo piano: coda per fare un anomalo check - in d'uscita (un check - out, dunque), coda per compilare un foglio necessario per ottenere il visto sul passaporto; coda, quindi, poi, per ottenerlo questo benedetto visto. Niente coda, infine, per riprenderci i bagagli, che abbiamo già trovati ammassati sul pavimento dell'aeroporto.
Non so quanto tempo fosse passato, comunque non credo molto, che ci ridestiamo: finalmente c'è un pulmino (e quindi un albergo) anche per noi.
